(Il testo non riveste carattere di ufficialità)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

·        Dott. Renato GRANATA                     Presidente

·        Prof. Giuliano VASSALLI                     Giudice

·        Prof. Francesco GUIZZI               Giudice

·        Prof. Cesare MIRABELLI                     Giudice

·        Avv. Massimo VARI                                 Giudice

·        Dott. Cesare RUPERTO                     Giudice

·        Dott. Riccardo CHIEPPA                         Giudice

·        Prof. Gustavo ZAGREBELSKY           Giudice

·        Prof. Valerio ONIDA                             Giudice

·        Prof. Carlo MEZZANOTTE                   Giudice

·        Avv. Fernanda CONTRI               Giudice

·        Prof. Guido NEPPI MODONA             Giudice

·        Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI                  Giudice

 

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 legge 25 marzo 1971, n. 213 (Soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri di cui all’art. 82 del r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, e della Cassa nazionale di conguaglio di cui al d.l. 18 novembre 1967, n. 1044, convertito in legge 17 gennaio 1968, n.4), 31 d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), e 102 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica), promossi con (n. 2) ordinanze emesse il 27 ottobre 1995 ed il 7 giugno 1996 dal Consiglio di Stato sui ricorsi proposti da … (omissis) .. ed altri contro Università degli Studi di Firenze ed altri e da … (omissis) ..contro Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica ed altri iscritte ai nn. 868 e 1309 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 50 prima serie speciale dell’anno 1996.

Visto l’atto di costituzione di … (omissis) … ed altri nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 marzo 1997 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi gli avv.ti Alberto Azzena e Paolo Carrozza per … (omissis) … ed altri e l’Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

 

1.—Con ordinanze del 27 ottobre 1995 e del 7 giugno 1996, di contenuto pressochè identico, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 (Soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri di cui all’art. 82 del r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, e della Cassa nazionale di conguaglio di cui al d.l. 18 novembre 1967, n. 1044, convertito in legge 17 gennaio 1968, n.4), 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), n.761, e 102 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica), i quali assicurano al personale docente universitario, che esplichi anche attività assistenziale per il Servizio sanitario nazionale, “l’equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianità”.

Il giudice a quo dubita che le norme suddette violino i principi di uguaglianza e adeguatezza retributiva nella parte in cui non prevedono un compenso ulteriore per il maggiore lavoro dei professori destinato a prestazioni diagnostico-terapeutiche, oltre che didattiche, e impediscono di corrispondere l’indennità da esse prevista quando, come avviene attualmente per le posizioni apicali della carriera universitaria, il livello retributivo dei medici docenti universitari superi quello dell’omologo profilo ospedaliero rendendo, in conseguenza, l’obiettivo della “equiparazione” non perseguibile per sopravvenuta carenza dell’originario presupposto di un reddito inferiore dei primi.

 

2.—Nel giudizio da cui è scaturita l’ordinanza più risalente, diciannove professori di ruolo delle Università di Firenze, Siena e Pisa, i quali espletano attività assistenziale presso unità sanitarie locali, avevano rivolto istanza al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana per l’accertamento del diritto ad una retribuzione aggiuntiva rispetto a quella di docenti, in corrispettivo, cioè, delle prestazioni rese al Servizio sanitario nazionale.

Il Consiglio di Stato, in sede di impugnazione della sentenza di rigetto, ha osservato che le norme applicabili alla fattispecie concreta non contengono previsioni di compensi supplementari per il lavoro diagnostico e terapeutico compiuto dai professori delle facoltà di medicina. E tanto, ha sostenuto, sarebbe bastato a respingere la pretesa se non fosse insorto il dubbio della conformità delle norme stesse alla Costituzione.

Ritiene il giudice d’appello che “l’indennità connessa all’ espletamento di attività assistenziale tende ad <equiparare il trattamento economico> muovendo dai presupposti, non dichiarati ma evidenti, del minor trattamento dei docenti rispetto agli ospedalieri, del maggiore impegno richiesto ai docenti esplicanti anche attività assistenziale” e della “opportunità di un trattamento economico delle due categorie quanto meno livellato”. Ma poichè le disposizioni denunciate eguagliano la misura dell’ indennità alla eventuale differenza sopportata in negativo dai professori universitari che si dedicano altresì all’assistenza sanitaria, è intuitivo che un ipotetico allineamento dei valori di riferimento approssima inevitabilmente a zero il risultato del calcolo.

La progressiva riduzione dello scarto di partenza, per effetto dei miglioramenti economici fatti ai professori universitari, importa, secondo il rimettente, che “ove la differenza si annulli, o il trattamento dei docenti superi quello dei medici ospedalieri, l’ indennità viene meno e, quindi, il maggior aggravio a carico dei docenti non è in alcun modo compensato. La maturata inversione nella graduatoria degli emolumenti avrebbe, quindi, risolto “in via definitiva”, per taluni soggetti, il diritto alla corresponsione monetaria, che rinviene la fonte nella combinazione normativa impugnata.

 

3.—Si sono costituite nel giudizio incidentale tre delle parti private, le quali hanno patrocinato la tesi della illegittimità costituzionale, hanno chiesto di estendere il controllo a norme estranee ai dubbi di costituzionalità del giudice rimettente e di verificare la conformità di quelle censurate anche al parametro di buon andamento della funzione pubblica, stabilito dall’art.97 della Costituzione.

Le parti private hanno, altresì, depositato memorie illustrative in prossimità dell’ udienza dinanzi alla Corte. In particolare hanno motivato, nell’ambito del thema decidendum fissato dal collegio di merito, che la cura degli infermi non rientrerebbe tra gli obblighi istituzionali dei medici universitari, ma integrerebbe un compito a sè stante, la compenetrazione tra le attività scientifica e diagnostico-terapeutica potendo trovare razionale fondamento per i soli casi clinici sottoposti all’ osservazione dei docenti per finalità di ricerca.

La legislazione, affermano, rivelerebbe nel suo svolgersi che il quid pluris dell’assistenza è stato costantemente posto a base, per i docenti medici, di un’ attribuzione pecuniaria, sia pure di diversa consistenza, e la perequazione ricercata dalla legge n.213 del 1971 andrebbe intesa nel senso che “il lavoro svolto dai medici universitari in aggiunta a quello proprio della loro qualifica deve per Costituzione essere retribuito al pari di quello dei medici delle UU.SS.LL.”.

Osservano poi che il regime delle convenzioni tra il Servizio sanitario nazionale e l’ Università, ex art. 39 della legge 23 dicembre 1978, n.833, determinerebbe per il medico universitario un sovvertimento, evidentemente da bilanciare, del rapporto tra insegnamento e assistenza, almeno dal punto di vista dell’ impegno commisurato al tempo.

Con riguardo al menzionato rapporto di origine convenzionale, i soggetti costituiti nel presente giudizio hanno inoltre proposto, di là dei confini segnati dall’ordinanza di rimessione, nuovi temi dell’ indagine di legittimità costituzionale.

Essi premettono che il fondamentale indirizzo della giurisprudenza costituzionale non potrebbe reputarsi irreversibile proprio perchè anteriore allo stabilimento del regime di convenzione che attualmente disciplina le relazioni tra il Servizio sanitario nazionale e l’ Università.

In definitiva, apparirebbe inevitabile l’affermazione che i medici universitari convenzionati hanno diritto, per le funzioni estranee alla didattica, ad una retribuzione adeguata alla più alta quantità e qualità della loro occupazione; ed in concreto, il parametro per ragguagliare la retribuzione ulteriore sarebbe rinvenibile nelle singole convenzioni applicabili laddove il criterio di ponderazione del lavoro assistenziale dei docenti di medicina in confronto con quello del corrispondente personale ospedaliero, pur dettato per scopi eterogenei, potrebbe suggerire un’analoga proporzione per computare l’integrazione salariale cui si aspira.

 

4.—Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la dichiarazione di infondatezza della questione, affermando che l’impegno assistenziale dei docenti, “compenetrandosi nell’attività didattico-scientifica, s’inquadra nell’attività propria dei docenti universitari, costituisce parte integrante della loro prestazione lavorativa e non configura un lavoro supplementare o aggiuntivo, suscettibile di essere considerato al di fuori dei doveri inerenti allo status di professore universitario”, risultando naturalmente incluso nella ordinaria retribuzione spettante. A conforto della tesi la difesa erariale ha invocato la univoca giurisprudenza costituzionale in tema.

 

5.—Nel processo giurisdizionale da cui è scaturita la successiva ordinanza di rimessione, .. (omissis) …, professore associato di oncologia clinica in servizio a tempo definito nell’ Università degli studi “La Sapienza” di Roma, aveva richiesto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio di accertare il suo diritto a una autonoma retribuzione, rispetto a quella per l’attività di insegnamento, riferibile alle prestazioni assistenziali rese presso il servizio aggregato di diagnostica e programmazione terapeutica.

 

Il Consiglio di Stato, adito a seguito del mancato accoglimento della domanda, replicando quanto già esposto, deferiva nuovamente a questa Corte il sindacato di legittimità della disciplina in esame.

Qui non vi è stata costituzione delle parti principali ma intervento del Rappresentante del Governo che, per ministero dell’Avvocatura generale dello Stato, ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità e, in subordine, di infondatezza della questione, ribadendo ragioni coincidenti con quelle dell’atto di ingresso nel giudizio meno recente.

 

Considerato in diritto

 

 

1.—Le questioni di legittimità costituzionale proposte dalle ordinanze in epigrafe concernono gli artt. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 e 102 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui, non prevedendo un qualche compenso per la maggiore attività svolta dai docenti universitari medici in servizio presso cliniche o istituti convenzionati, impediscono anche la corresponsione dell’indennità prevista, quando, come accade attualmente per i docenti medici al vertice della carriera universitaria, il loro livello retributivo abbia raggiunto e superato quello dell’omologo profilo ospedaliero, violando così i principi di cui agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

Secondo i giudici rimettenti, il legislatore ha riconosciuto in origine, con le norme impugnate, l’esistenza, nei confronti dei predetti docenti universitari medici, di un maggior carico di lavoro, oltre a quello proprio della docenza, ed ha ritenuto di compensarlo con una indennità. Ma, venuta ora meno, a seguito degli avvenuti miglioramenti retributivi, la condizione di deteriore trattamento economico dei professori universitari rispetto ai medici ospedalieri, è conseguentemente venuta meno, presumibilmente in via definitiva, l’erogazione della predetta indennità. In questo quadro, si dubita pertanto della legittimità costituzionale di quelle norme, le quali riservano, secondo le ordinanze di rimessione, una sola retribuzione, senza integrazione alcuna, a categorie diverse, esplicanti l’una soltanto attività assistenziale e l’altra anche attività docente.

 

2.—I giudizi, avendo ad oggetto questioni identiche, possono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

 

3.—Le questioni proposte sono infondate sotto entrambi i profili prospettati.

Il punto centrale delle ordinanze di rinvio è costituito dalla considerazione che, per quanto riguarda l’attività dei medici universitari che prestano assistenza sanitaria nelle cliniche e negli istituti universitari, “il legislatore ha riconosciuto l’esistenza a carico dei docenti universitari di un maggior carico di lavoro, oltre quello proprio della docenza, ed ha ritenuto di compensarlo con un’indennità”, cosicchè, venendo meno tale indennità, il maggior aggravio a carico di questi docenti non viene in alcun modo compensato. Tale interpretazione non è però condivisibile, perchè erronea è la premessa, anche alla stregua delle precedenti decisioni di questa Corte su questo specifico profilo.

Innanzi tutto, non è esatto che l’indennità prevista dalle norme in oggetto abbia un contenuto corrispettivo dell’attività assistenziale prestata dai medici universitari. Già dai lavori parlamentari relativi all’approvazione della legge 25 marzo 1971, n.213, che stabilisce la soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri, di cui all’art. 82 del r.d. n. 1631 del 1938, emerge infatti chiaramente la natura giuridica propria di quella indennità.

Ed infatti l’articolo 4, secondo una prima proposta emendativa, avrebbe dovuto prevedere soltanto che ai medici universitari fosse “corrisposta una integrazione non pensionabile, che verrà stabilita con apposita convenzione tra gli enti e istituti indicati all’art. 2 e le università”, senza stabilire alcun parametro cui commisurare l’ammontare dell’indennità stessa, lasciandone la determinazione al modulo convenzionale.

Viceversa, la formulazione definitiva della norma, che si è conseguita dopo una articolata serie di “letture” tra Camera e Senato, esalta, rispetto alla proposta originaria, il carattere “perequativo” dell’indennità stessa, poichè si stabilisce che la predetta indennità “non potrà essere superiore a quella necessaria per equiparare il trattamento economico a quello del personale medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianità”, ed anzi, ove l’ammontare dei fondi lo consenta, “dovrà essere uguale a quella necessaria per ottenere l’equiparazione dei trattamenti economici”.

Il carattere perequativo dell’indennità in questione d’altronde è chiaramente riconosciuto, oltre che dalla costante giurisprudenza amministrativa, specificamente dalla giurisprudenza di questa Corte, là dove si afferma che il legislatore “ha preso in considerazione la posizione degli universitari inseriti nelle cliniche, ma ha più volte variato il criterio in base al quale calcolare l’emolumento: da ultimo ha ritenuto di dovere seguire il criterio, certo non irrazionale, di equiparare, nei limiti del possibile, la posizione economica dei sanitari ospedalieri e dei docenti universitari operanti nelle cliniche” (sentenza 24 giugno 1981 n. 126).

Questo criterio perequativo, che viene confermato dall’art. 102 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, riguarda peraltro, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, oltre ai docenti universitari medici, tutto il restante personale universitario, che presta servizio presso le cliniche e gli istituti universitari, equiparandolo, per quanto concerne non solo il trattamento economico complessivo, ma anche i compensi per lavoro straordinario e le altre indennità previste dall’accordo nazionale unico, al personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni ed anzianità.

In questa ottica, l’indennità in questione non può essere dunque considerata, anche perchè non esclusiva dei soli medici universitari, come retributiva della sola attività assistenziale, configurata come prestazione “aggiuntiva”, dotata di autonoma rilevanza. Con l’indennità in questione, infatti, il legislatore persegue solo la finalità di evitare disparità di complessivo trattamento economico tra medici ospedalieri e medici universitari e non già la finalità di retribuire specificamente una parte dei compiti di questi ultimi.

Tanto più che per essi “non è possibile parlare di un duplice rapporto di impiego, nè di un lavoro supplementare o aggiuntivo che sia da considerare al di fuori dei doveri inerenti allo status di professore universitario” (sentenza n. 126 del 1981). Questa Corte aveva infatti già dimostrato, nella sentenza n. 103 del 1977, che è una scelta politica, certo non irrazionale, avere affidato compiti di assistenza ospedaliera al personale medico universitario, che già peraltro assolve istituzionalmente compiti didattico-scientifici, poichè si tratta di “funzioni fra loro nient’affatto incompatibili, sibbene, al contrario, suscettibili di ottimale collegamento o addirittura compenetrazione”.

 

4.—In questo quadro, quindi, si deve ribadire quanto già affermato dalla Corte (sentenza n. 126 del 1981; ordinanza 9 giugno 1988 n. 673), in riferimento al sistema retributivo dei docenti universitari di medicina tenuti a svolgere attività assistenziale: “non può parlarsi di disparità di trattamento con i medici ospedalieri che non siano docenti universitari e che percepiscono il medesimo stipendio, pure svolgendo solo attività assistenziale, poichè per i professori, dei quali qui si tratta, l’attività assistenziale si compenetra con quella didattico-scientifica”.

Nè si può obiettare - come fanno le parti private - che il quadro normativo, o, quanto meno, fattuale sia mutato, rispetto alla precedente giurisprudenza della Corte, in conseguenza del vigente regime convenzionale, che aggraverebbe in modo rilevante i doveri assistenziali dei medici universitari. In proposito, va rilevato, in via preliminare, che nè le predette convenzioni tra Regioni e Università, nè i decreti ministeriali di approvazione dello schema tipo di convenzione sono atti aventi forza di legge, sottoponibili al sindacato della Corte costituzionale.

D’altra parte, si deve ricordare che, anche secondo la giurisprudenza amministrativa, l’attribuzione dell’indennità perequativa de qua prescinde completamente dalla esistenza del regime convenzionale, il quale istituisce solo una relazione giuridica tra l’Università e le Regioni (o le U.S.L.) per ripartire il necessario carico finanziario.

In ogni caso, occorre rilevare che attualmente soltanto le posizioni apicali della carriera medica universitaria non godono più (per l’incremento della retribuzione stipendiale) della predetta indennità, la cui funzione di meccanismo di equiparazione di trattamenti economici differenziati non appare pertanto nè vanificata, nè superata in via definitiva, ma, a tutto concedere, soltanto, allo stato, resa inoperante.

Quindi il preteso venir meno della funzione livellatrice dell’indennità in questione è solo parziale e comunque inidoneo a fondare una censura d’incostituzionalità perchè, come già ricordato dalla Corte in altra occasione, si tratta di “circostanza di mero fatto, del tutto contingente e riferibile alla dinamica retributiva della categoria assunta a termine di riferimento” (ordinanza n. 239 del 1990).

 

P.Q.M.

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi;

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 (Soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri di cui all’art. 82 del r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, e della Cassa nazionale di conguaglio di cui al d.l. 18 novembre 1967, n. 1044, convertito in legge 17 gennaio 1968, n.4), 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n.761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) e 102 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 maggio 1997.

 

Presidente Renato GRANATA

Redattore Piero Alberto CAPOTOSTI

 

SENTENZA N. 136 ANNO 1997  Depositata in cancelleria il 16 maggio 1997.